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brente di vino che entravano in città per uso di ducentomila abitanti: ora centoventimila, quanti abitano in Milano, consumano più del quadruplo. Anche le staia seimila e cinquecento di sale sarebbero proporzionate alla popolazione di ventiseimila abitatori, e non mai di duecentomila. Poca e nessuna fede merita quella relazione, fatta da un uomo che descrive diciotto laghi e sessanta fiumi abbondantissimi di pesci nel contorno di Milano. Abbenchè consideriamo ragionevolmente come scritti piuttosto a caso quei numeri, che per vera cognizione, difficile assai ad aversi in que’ tempi, egli è però assai probabile che fosse numerosa la popolazione d’una città alla quale dovevano, come a residenza e a dominante, ricorrere, al tempo di Giovanni arcivescovo, i cittadini di diciotto città del contorno. Petrarca la qualificò, siccome vedemmo, populi frequentia gloriantem; e Pietro Azario, che viveva mentre la pestilenza del 1361 devastò Milano, asserisce che in Milano perirono per quella sciagura settantacinquemila abitatori; il che può verosimilmente farci credere ch’essi fossero più di centocinquantamila. Nè è difficile il concepire come una popolazione maggiore dell’attuale fosse contenuta entro di una città di un recinto più angusto di quanto ora lo sia: poichè sappiamo che tutte le case nobili e vaste sono state formate colla incorporazione di più e più case piccole; che molti monasteri e conventi e chiese sono piantate oggidì in luoghi che servivano allora all’abitazione del popolo; e che finalmente il lusso di abitare per pompa uno spazio vasto di luogo, e il conservare signorilmente un buon numero di stanze, al solo uso che siano trascorse da chi ci viene a visitare, prima che ci ritrovi, non era il lusso di