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suoi immemorabili possessi, e si regalarono il re e il papa vicendevolmente la roba altrui. Non mai per addietro gli ecclesiastici francesi avevano pagate a Roma le annate, ed il re donò al papa il dritto di farsele pagare. Le nomine ed elezioni de’ vescovadi erano di competenza dei rispettivi capitoli delle cattedrali per diritto stabilito dai canoni conciliari; ed il papa invece donò al re di Francia queste nomine. Inutilmente i parlamentari del regno fecero le loro rimostranze; inutilmente le fece il clero gallicano in corpo: poichè si volle ad ogni modo che il concordato fosse posto in esecuzione. (1516) Dopo ciò, ne’ primi giorni di gennaio il re partì dall’Italia, ove lasciava per la forza delle sue armi, per la fama della sua vittoria, e per i negoziati col papa e co’ Veneziani una dominazione apparentemente sicura e tranquilla. Lasciò il duca di Bourbon suo governatore e luogotenente in Milano.
Frattanto però l’ostinatissimo cardinal di Sion moveva ogni mezzo alla corte imperiale per determinare Cesare a scendere nell’Italia. Varii Milanesi, avversi alla dominazione francese, dimoravano negli Svizzeri, e procuravano di promovere gl’interessi della casa Sforza, tuttora intatti nella persona del duca di Bari Francesco, il quale non aveva abdicata, come aveva fatto il maggior fratello Massimiliano, la ragione sua alla successione nel ducato di Milano. La fiera risposta data dal re alla intimazione imperiale, sembrava che obbligasse quell’augusto a prendere il partito suggerito dal cardinale. Così appunto seguì, e nel 1516 l’imperatore Massimiliano scese in persona dal Trentino alla testa di sedicimila Lanschinetti, quattordicimila Svizzeri, e un nerbo poderoso di cavalleria. Il maresciallo di Lautrec abbandonò Brescia, ch’