Pagina:Storia di Milano II.djvu/240

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esso, con tutti i suoi, sarebbe stato tagliato a pezzi con tutti li cittadini, e distrutta tutta la città sino alli fondamenti, non lasciando di fare tutte quelle crudeltà che si potessero; il che s’egli avesse voluto fare, oltra molto tesoro, gli avrebbe ancora donate molte buone entrate nello stato di Milano: la cui ambasciata avendo bene isposta il frate, Antonio da Leva, salito in gran collera, proruppe in tai parole: Se tu non fossi nunzio regale, e tale, come io ho sempre creduto, di buoni costumi et di santità di vita, io ti farei oggi finire la tua vita sopra la forca: non pigliar mai più tale impresa; per hora vanne senza veruna offesa; e dirai alla regia maestà ch’io mi maraviglio molto di quella, che abbi mandata una tal ambasciata a me, il quale ho sempre anteposto la fede a qualunque magistrato o dignità ed oro. Sia lontano da me ogni nome di perfidia e di traditore; ch’io accetterei piuttosto qualunque sorte di crudel morte. Pavia è di Cesare, e data al sapientissimo Francesco Sforza, duca di Milano, e quella mi sforzarò di conservargliela con ogni cura, studio e diligenza, e di rendergliela. Malgrado però l’industria e il valore degli assediati i viveri erano assai pochi in Pavia. Si vendevano alle macellerie carni di cavalli e d’asini. Una gallina si vendeva per un ducato d’oro, le uova si vendevano venticinque soldi l’uno. Mancava il burro, non v’era lardo nè olio; di che Tegio minutamente c’informa. Tutto soffrivasi da’ cittadini però, anzichè ubbidire nuovamente al dominio di un re che Lautrec aveva reso odiosissimo. In mezzo alla pubblica miseria Matteo Beccaria, il giorno 12 dicembre 1524, insultò l’umanità, dando un convito magnifico agli ufficiali del presidio. Il Tegio lo racconta come una magnificenza