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Savoia, il principe di Lorena, l’Ambricourt, Bonavalle, San Polo, Galeazzo e Bernabò Visconti, Federico Gonzaga da Bozzolo, Girolamo Aleandro, vescovo di Brindisi e nunzio del papa, e varii altri signori. Degli Imperiali solo mille e cinquecento rimasero morti, con due soli capitani di conto, cioè don Ugo di Cardona, e Ferrante Castrioto, marchese di Sant’Angelo.
Il re cristianissimo con molto rispetto fu condotto all’alloggiamento del vicerè don Carlo Lannoy a San Paolo; dove, medicate le ferite, scrisse alla duchessa d’Angoulême, sua madre, quella breve e terribile lettera: Signora, tutto è perduto, fuor che l’onore. Il duca di Borbone presentò al re magnifiche vesti per disarmarsi; ed al pranzo il vicerè Lannoy lo servì, presentandogli il catino da lavar le mani, il marchese del Vasto versò l’acqua, il duca di Borbone lo sciugatoio. Il Borbone lasciava cader le lagrime, mirando prigioniero il re. La sera il re volle che Lannoy e Vasto cenassero seco. Pescara venne ad osservarlo senza pompa e con modeste maniere, e piacque al re sopra ad ogni altro. Gli si concessero i suoi paggi, si ricuperarono abiti, camiscie e molte cose rappresagliate, che i soldati medesimi generosamente presentarono, e fra queste una coppa d’oro, in cui soleva bere il re, ed una