Pagina:Storia di Milano II.djvu/28

Da Wikisource.

pienamente. Al solo avviso della inaspettata sua presenza, si posero in fuga i vincitori; anzi innoltrandosi egli incautamente ad inseguirli, si trovò come attorniato e preso da essi; ma invece di farlo prigioniere, i nemici deposero le armi, e scopertisi il capo, riverentemente lo salutarono, e qualunque poteva, con ogni reverentia li tochava la mano perchè lo reputavano patre de la militia ed ornamento di quella; così il Corio. Sin dalla sua gioventù egli inspirava rispetto per la nobile e dignitosa figura, e più per la saviezza, prudenza, costumatezza ed eleganza nel parlare; onde l’istesso Filippo Maria admirabatur enim magis atque magis quotidie tum illius prudentiam, facundiam egregiosque mores, tum formae praestantiam, vultus gestusque dignitatem. Un fatto raccontatoci dallo storico Giovanni Simonetta, che viveva in que’ tempi, mostra l’indole generosa del conte Francesco, e la singolare di lui prudenza nel fiore degli anni suoi. Sforza suo padre, mentre guerreggiava nell’Abruzzo, aveva affidato a Francesco un corpo. Ivi guerreggiavano i due partiti francese e spagnuolo, ossia gli Angioini contro gli Aragonesi. Si formò una trama segreta fra i soldati sottoposti a Francesco Sforza; e improvvisamente una gran parte di essi tradì la fede, e, abbandonando il giovine Francesco, passò al nemico. Francesco co’ pochi rimastigli fedeli si ricoverò in luogo munito. Appena ottenuto dal padre nuovo soccorso, si scagliò contro i nemici, e fece prigionieri tutti i traditori. Ne spedì la novella a Sforza di lui padre, chiedendo i suoi comandi sul trattamento da farsi a questi prigionieri. Sforza gli mandò il comando di farli, tutti quanti erano, impiccare. Al ricevere