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quem jure possis cum uno Francisco Sfortia conferre. Qui quidem, cum vicisset semper, et victus fuisset numquam, ita diem obiit ut omnibus de se non minus desiderium, quam fletum relinqueret.
Già da due anni era stato idropico il duca, e sebbene ei nell’aspetto sembrasse ristabilito, soffriva nelle gambe, le quali anche talora si gonfiavano. Egli tentò qualche rimedio per ridurle alla loro figura di prima; e v’è chi attribuisce a tal cagione la quasi improvvisa di lui morte, accaduta con due soli giorni di malattia. (1466) Il giorno 8 di marzo dell’anno 1466, all’età di sessantacinque anni, dopo sedici anni di signoria, morì il duca Francesco Sforza. Tutta la città rimase squallida e desolata a tale inaspettata disgrazia: stimando ogniuno, dice il Corio, non solo havere perduto uno duca, ma uno colendissimo patre. La duchessa Bianca Maria, sebben colpita da questo impensato fulmine, s’era addottrinata coll’esempio del marito ad affrontare e sostenere l’avversa fortuna. Il figlio primogenito, Galeazzo Maria, in quel punto era nella Francia. Se la duchessa si abbandonava al femminil dolore, la casa Sforza perdeva la sovranità, alla quale mancava la sanzione imperiale. Ella si mostrò degna di essere stata moglie amatissima di Francesco Sforza: compresse il dolore; pensò a salvare i figli. Con animo virile, la notte medesima, appena spirato il duca, convocò un consiglio dei primari signori milanesi. Con poche, ma gravi e accomodate parole raccomandò loro l’ordine pubblico, la fede verso il sangue del duca. Scrisse immediatamente a tutti i principi d’Italia la perdita fatta, e richiese il favore