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236 | libro terzo |
Il vescovo di Torino, grande ostacolo all’ingrandimento de’ principi di Savoia, lontano e fra i ceppi; l’imperatore bisognoso d’aiuti, e soprattutto d’un capo di gran nome e di provata bontà, che sapesse e potesse confermar nella fede i suoi devoti, mantenervi i tentennanti. Tommaso era appunto il fatto suo; ei d’una stirpe già da gran tempo famosa, stretto congiunto dei re di Francia e d’Inghilterra, provato in arme.
Amedeo iv, fratello di lui, ben si mostrava amico a Cesare; ma non volea scoprirsi neppure nemico del papa, e più veramente cercava d’esser amico di tutti e due, volteggiando con maravigliosa destrezza, sebbene alla fine, massime dopo l’acquisto di Rivoli (1247), anch’egli s’intignesse, sia per maggior debito di gratitudine a Cesare, sia perchè è mal gioco e da non durare il tener il piè in due staffe. Federigo sperava in Tommaso un fautore più risoluto. Epperciò con quell’arte d’inescare e di corrompere con preghi, con lusinghe e con doni, che sapea mirabilmente, finì per trar dalla sua Tommaso, il quale, quand’era conte di Fiandra, orasi mostrato parziale, del papa, e che tornando in Piemonte era dal papa stato con calde lettere raccomandato ed a Gregorio da Montelongo e ad altri capi della lega Lombarda.
Ai dominii che fin dal 1235 possedeva in Piemonte, avea Tommaso aggiunto per cessione d’Amedeo iv