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capo quinto | 45 |
e ad avanzar d’un tratto adottando quelle leggi e quelli ordini, e quelle magnificenze, ciò che dal benefizio di più secoli progressivi avrebbero indarno sperato.
Questa imitazione fu cominciata, dico, spontaneamente da città ausiliarie che viveano affatto indipendenti co’ loro principi e co’ loro magistrati: ed era legge e necessità nelle colonie; e molto più quando tutta l’Italia fu donata della cittadinanza romana, e i Vercellesi, i Taurini, i Comaschi, i Milanesi, i Mantovani ebbero adito agli onori più sublimi nella città eterna, al pari degli antichi e veri cit tadini godenti dell’ingenuità e del diritto ottimo massimo.2
Questa insigne prerogativa della cittadinanza Romana l’ebbe tutto il paese tra l’Alpi e il Po dallo stesso Giulio Cesare, se diam fede a Dione.3
Dopo la morte di Cesare, Marco Antonio volle per sè la Gallia Cisalpina che era toccata a Decimo Bruto, perchè di soldati e di danaro fortissima.4
Quando Ottaviano, dopo d’aver per qualche tempo diviso con Antonio e con Lepido l’imperio del mondo, lo volle per sè solo, cominciò ad occupare queste provincie e i passi dell’Alpi, ed a guadagnar l’amicizia di Cozio, figliuolo del re Donno, che signoreggiava con ragione d’eredità nelle gole de’ monti tra il Roccamelone e il Monviso, che dal suo nome si chiamarono poi Alpi Cozie. Da Ottaviano che il