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142 notte terza

e chiaro sole tra le minute stelle. E sopragiunta la bugia notte, ed andatisene tutti ai loro alloggiamenti, Doralice mesta si ridusse sola in una cameretta non meno ornata che bella; e stando cosí solinga con la finestra aperta, ecco Fortunio il quale, come vide la giovane, fra sè disse: — Deh, che non sono io aquila? — Nè appena egli aveva fornite le parole, che aquila divenne; e volato dentro della finestra, e ritornato uomo come prima, tutto giocondo e tutto festevole se le appresentò. La poncella, vedutolo, tutta si smarrí; e sí come da famelici cani lacerata fusse, ad alta voce cominciò gridare. Il re, che non molto lontano era dalla figliuola, udite le alte grida, corse a lei, ed inteso che nella camera era un giovane, tutta la zambra ricercò: e nulla trovando, a riposare se ne tornò; perciò che il giovane, fattosi aquila, per la finestra si era fuggito. Nè fu sí tosto il padre postosi a riposare, che da capo la poncella si mise ad alta voce gridare; perciò che il giovane, come prima, a lei presentato si aveva. Ma Fortunio, udito il grido della giovane, e temendo della vita sua, in una formica si cangiò, e nelle bionde trezze della vaga donna si nascose. Odescalco, corso a l’alto grido della figliuola e nulla vedendo, contra di lei assai si turbò, e acramente minacciolla che, se ella piú gridava, egli le farebbe un scherzo che non le piacerebbe; e tutto sdegnato si partí: pensandosi ch’ella avesse veduto nella sua imaginativa uno di coloro che per suo amore erano stati nel torniamento uccisi. Il giovanetto, sentito del padre il ragionamento, e veduta la di lui partenza, la spoglia di formica depose e nel suo bel esser primo fece ritorno. Doralice, vedendo il giovane, subitamente si volse gittar giú dal letto e gridare: ma non puote; perciò che il giovane le chiuse con una delle mani la bocca, e disse: —%nbsp;Signora mia, io non sono qui venuto a torvi l’onore e l’aver vostro, ma per racconfortarvi ed esservi umilissimo servitore. Se voi piú gridarete, una di due cose averrá: o che ’l vostro chiaro nome e buona fama sie guasta, o che voi sarete cagione della mia e vostra morte. E perciò, signora del cuor mio, non vogliate ad un tempo macchiare l’onor vostro e mettere a pericolo di