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favola quinta 155

maestro dalla corda ammaestrato, gli fece cenno che lo lasciasse venir giú da alto a basso senza pietà e remissione alcuna. Bargetto, udendo le parole del giudice, e sentendo nelle braccia grandissima passione, e considerando di non poterla sofferire, dispose di confessare quello che non aveva fatto, e disse: — Signori, lasciatemi giú, che ’l tutto chiaramente vi dirò. — Lasciata leggiermente venir giú la fune e appresentatosi Bargetto al conspetto del pretore e della corte, affermò in presenza del padre aver commessi tutti gli eccessi contra lui imputati.

Rosolino, che aveva sentita la non veridica confessione del figliuolo, ravoglieva nell’animo suo molte cose; ed alfine mosso da filial amore, e considerata la lui innocenzia, disse: — Non tormentate piú il figliuol mio, ma liberatelo, perciò che egli è innocentissimo ed io nocente. — E senza altro tormento minutissimamente confessò ogni suo delitto. Il pretore, udita di Rosolino la confessione e fattala con ogni diligenza annotare e ratificare, e desideroso di sapere la causa, disse: — Rosolino, tu hai sofferti tanti tormenti, nè mai abbiamo potuto da te aver la verità; ma poscia che vedesti Bargetto ne’ tormenti, e udisti la confessione da lui fatta, mutasti proponimento, e senza martorio alcuno confessasti il tutto. Io, se Dio ti salvi ed abbia misericordia dell’anima tua, intenderei volentieri la causa di questa mutazione. — Ah, — rispose Rosolino, — non la sapete voi, signori? — Disse il pretore: — Veramente noi non la sappiamo. — Rispose Rosolino: — Ed io, se non la sapete, ve la raccontarò, s’attenti m’ascoltarete. Signori pietosi, umani e amatori di giustizia, voi avete veduta e chiaramente conosciuta la costanza mia ne’ tormenti; nè è maraviglia: perciò che allora voi martoravate le carni morte, ma quando voi tormentavate Bargetto, unico mio figliuolo, allora tormentavate le carni vive. — Adunque, — disse il pretore, — tu sei morto, essendo le carni tue morte? — Non sono io morto, — rispose Rosolino, — nè manco le carni mie morte sono, ma viveno; tuttavia quando voi mi tormentavate, io nulla pativa, perchè queste carni, che voi ora vedete e tormentavate, non erano mie, ma del padre mio morto, putrido e già fatto polve; ma