Pagina:Straparola, Giovanni Francesco – Le piacevoli notti, Vol. II, 1927 – BEIC 1930632.djvu/187

Da Wikisource.


NOTTE DUODECIMA

I vaghi e occhiuti uccelli avevano già dato luogo all’oscurità della notte, e i pipistrelli nemici del sole e a Proserpina dedicati, eran già usciti delle usate grotte per lo caliginoso aere[[Pagina:Straparola, Giovanni Francesco – Le piacevoli notti, Vol. II, 1927 – BEIC 1930632.djvu/239|]] lentamente scorrevano, quando l’orrevole e grata compagnia, disposto ogni molesto e affannoso pensiero, allegramente all’usato luogo si ridusse. E messisi secondo i loro ordini a sedere, venne la Signora, e diede un grazioso saluto; indi, fatti alquanti balli con amorosi ragionamenti, la Signora, sí come a lei piacque, comandò che l’auro vaso le fusse recato: e postavi la mano dentro, trasse di cinque damigelle il nome: delle quali il primo fu di Lionora, il secondo di Lodovica, il terzo di Floriana, il quarto di Vicenza, il quinto d’Isabella. A questa e alle altre fu data ampia licenza di poter liberamente ragionare ciò che piú le piacesse, con questa però condizione, che fussero piú brevi e risolute di quello che furono nelle notti precedenti. Alla qual cosa tutte e ciascaduna da per sè, molto volentieri accontentorono. Fatta adunque la scielta delle donzelle che avevano nella duodecima notte a favoleggiare, la Signora fece di cenno al Trivigiano e al Molino che una canzonetta cantassero. I quali ubbidientissimi a’ comandamenti suoi, presi i loro strumenti e accordati, in tal modo la seguente canzone artificialmente cantarono.

     Se ’l tempo invola ogni mortal bellezza
col rapido suo corso,
che piú tardate, donna, al mio soccorso?