Pagina:Straparola, Giovanni Francesco – Le piacevoli notti, Vol. II, 1927 – BEIC 1930632.djvu/221

Da Wikisource.

favola settima 215

scoppiavano da ridere della sua pazzia. Il patrone, che ancora non si avedeva del servo che aveva il bastone in mano, si maravigliava forte che tutti il guardavano e ridevano. Ma poi che conobbe la causa del loro ridere, si sdegnò, e con ira riprese acerbamente il servo e volse anco sconciamente batterlo. Ed egli piangendo e lamentandosi si scusava dicendo: — Avete torto, patrone, a volermi battere. Non feci io patto con esso voi? Non ho io ubbedito in tutto ai comandamenti vostri? Quando contrafei al voler vostro? Leggete l’instrumento e poi punitemi, se io mancai in cosa alcuna. — E cosí il servo ogni volta rimaneva vincitore.

Un altro giorno il patrone mandò il suo servo al macello per comprar della carne, e parlando ironicamente com’è costume di patroni, gli disse: — Va, e sta uno anno a ritornare. — Il servo, pur troppo ubidiente al patrone, andò nella patria sua, e ivi stette finchè scorse l’anno. Dopo il primo dí del sequente anno ritornando, portò la carne al patrone; il quale, maravigliandosi, perciò che egli aveva mandato in oblivione ciò che comandato avesse al servo, lo riprendeva grandemente della fuga, dicendogli: — Tu sei venuto un poco tardetto, ladro da mille forche. Per Dio, che io ti farò pagar la pena, come tu meriti tristo ribaldone, nè sperar da me aver salario alcuno. — Rispose il servo aver servito tutto l’ordine contenuto nello instrumento publico e aver ubedito alli precetti suoi, secondo la continenzia di quello. — Ricordatevi, signor mio, che, mentre mi comandaste ch’io stessi un anno a ritornare, che io ho ubbidito. E però mi pagherete il salario che m’avete promesso. — E cosí andati a giudizio, giuridicalmente fu costretto il padrone a pagar il suo salario al servo. —