Pagina:Straparola - Le piacevoli notti I.djvu/350

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Essendo la breve favola della Signora finita, tutti ugualmente cominciorono fortemente a ridere, biasmando madonna Modesta, la quale in ogni altra cosa, eccetto che nelle opere della corta e fastidiosa lussuria, modestamente viveva. Appresso questo non si potevano astenere dalle risa quando consideravano i calzari da lei non meno con dolcezza acquistati, che con dolcezza perduti. Ma perciò che Cateruzza era stata cagione di muovere il Trivigiano a fare che la Signora raccontasse la favola, prima con alquante dolci parolette la morse, dopo per punizione di tal suo commesso fallo espressamente le comandò che ella recitasse uno enimma, che non disaguagliasse dalla favola da lei raccontata. Cateruzza, inteso il comandamento della Signora, levossi da sedere; e voltatasi verso lei, così disse: Signora mia, i mordimenti che voi fatti m’avete, non mi sono discari: anzi gli abbraccio con tutto ’l cuore. Ma ben l’avermi dato il carico di raccontare cosa che non si parti dalla somiglianza della favola raccontata da voi, mi è grave assai; perciò che all’improviso non si potrà dir cosa, che grata vi sia. Ma poscia che così v’aggrada per tal maniera castigare il fallo mio — se pur fallo dir si può — io come ubidientissima figliuola, anzi deditissima ancella, così dirò.

Vassi à seder la donna con gran fretta;
     Ed io levole e panni a mano, à mano,
E perchè certo son ch’ella m’aspetta,
     Indi m’acconcio con la cosa in mano.
La gamba i’ levo, ed ella: Troppo stretta,
     Ahimè, mi va tal cosa; fa più piano,
E perch’ella ne senta più diletto,
     Sovente la ritraggio e la rimetto.

Non meno ridiculoso fu l’enimma da Cateruzza raccontato, che fusse l’ingeniosa favola dalla Signora