cone grasso e bello più che prima, quasi muto divenne. Ma poscia che alquanto in se medesimo rivenne e considerò l’error suo in aver inavvedutamente condannato lo innocente amico a morte, alciò gli occhi quasi di lagrime pregni, e guardando fiso nel volto di Salardo così li disse: Salardo, se ora tu potesti penetrare con gli occhi la parte di dentro del mio cuore, apertamente conosceresti che la fune, che ti ha fin’ora tenute legate le mani, e il capestro, che ti ha circondato il collo, non hanno apportato a te tanto dolore quanto a me affanno, nè tanta pena a te quanto a me doglia; nè penso mai più viver lieto e contento, poi che in tal maniera ho offeso te che con tanta sincera fede mi amavi e servivi. E se possibil fusse che quello è già fatto si potesse annullare, io per me lo annullarei. Ma essendo ciò impossibile, sforzerommi con ogni mia possa di ristaurare in tal guisa la ricevuta offesa, che di me rimarrai contento. Ciò detto, il Marchese con le propie mani li trasse il capestro dal collo e le mani li sciolse, abbracciandolo con somma amorevolezza e più fiate basciandolo; e presolo con la destra mano lo fece appresso sè sedere. E volendo il Marchese che ’l laccio fusse posto al collo di Postumio per suoi malvagi portamenti, ed impiccato, Salardo no ’l permesse; ma, fattolo venire a sè innanzi, disseli tai parole: Postumio, da me per Dio da fanciullo insino a cotesta età allevato, io di te sallo Iddio che non so che fare. Da l’una parte mi tira l’amore che io fin ora ti ho portato; da l’altra mi trae lo sdegno contra te per li tuoi mali gesti conceputo. L’uno vuole che come buon padre ti perdoni; l’altro mi essorta che contra te rigidamente m’incrudelisca. Che debbo dunque far io? Se io ti perdono, sarò mostrato a dito; se farò la giusta vendetta, farò contra lo divino precetto. Ma acciò che