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FAVOLA III.


Anastasio Minuto ama una gentidonna, ed ella non ama lui. Egli la vitupera, ed ella il dice al marito; il qual per esser vecchio gli dona la vita.


Quantunque, graziose donne, la focosa lussuria — sì come scrive Marco Tullio nel libro della vecchiezza — sia ad ogni età fetente e sozza, nientedimeno alla canuta vecchiaia è sozzissima e d’ogni immondizia piena; perciò che, oltre la lei lordura e succidume, ella debilita le forze, toglie la vista, priva l’uomo dell’intelletto, fallo infame, gli vuota la borsa, e con la sua corta e fastidiosa dolcezza spingelo ad ogni scelerato delitto. Il che fiavi noto, se alle mie parole, secondo il costume vostro, grata e benigna audienza prestarete.

Nella nostra città, che di belle donne ogni altra avanza, trovavasi una gentil madonna, leggiadra e d’ogni bellezza compiuta, i cui vaghi lumi fiammeggiavano come mattutina stella. Costei vivendo in dilicatezze, e sendo morbida, e forse mal trattata dal marito nel letto, scielse per suo amatore un giovane valoroso, accostumato e di onorevol famiglia, e fecelo possessor dell’amor suo, amandolo più che ’l proprio marito. Avenne che un uomo d’anni molto aggravato, e amico del marito, il cui nome era Anastasio, sì fieramente s’accese dell’amor di costei, che nè dì nè notte non trovava riposo; e tanta era la passione e il tormento ch’egli sentiva, che in pochi dì divenne sì macilente e magro, che appena la pelle sopra le ossa ci stava.