Pagina:Straparola - Le piacevoli notti II.djvu/189

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de l’eremita s’aveva già aveduto, disse: Padre, non temete, ma entrate sicuramente nella cella, perciò che questi animali sono sì domestici, che non vi oltreggieranno in modo alcuno. Assicurossi l’eremita per le parole di Cesarino, ed entrò nella sua povera cella. Era Cesarino molto affannato per lo lungo camino che fatto aveva: e voltatosi verso l’eremita, disse: Padre, arreste voi per avventura un poco di pane e di vino, acciò ch’io potesse riavere le perdute forze? Sì bene, figliuol mio, rispose lo eremita, ma non di quella bontà, che forse tu vorresti. E scorticate e smembrate le fiere che prese aveva, le pose in un schidone e l’arrostì; ed apparecchiata la mensa, e ingombrata di quelle povere vivande che s’attrovava, cenarono allegramente insieme. Cenato che ebbero, disse l’eremita a Cesarino: Non molto lungi di qua alberga un dracone, il cui anelito ammorba e avelena ogni cosa, nè è persona, che li possa resistere; ed è di tanta roina, che farà bisogno che i paesani tosto abbandonino il paese. Appresso questo fa mestieri ogni giorno mandargli un corpo umano per suo cibo: altrimenti distruggerebbe il tutto; e per empia e mala fortuna dimani tocca la sorte alla figliuola del re, la quale e di bellezza e di virtù e di costumi avanza ogni altra donzella, nè è cosa in lei, che non sia d’ogni laude degna: e veramente è grandissimo peccato che una tanta donzella senza lei colpa sì crudelmente perisca. Inteso ch’ebbe Cesarino il parlar dell’eremita, disse: State di buon animo, padre mio santo, nè dubitate punto, che vedrete della punzella la liberazione presto. Nè appena era spuntata fuori l’aurora della mattina, che Cesarino andò là dove dimorava il minaccioso dracone, e seco condusse i tre animali, e vidde la figliuola del re, che già era venuta per esser di-