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FAVOLA V.


Frate Bigoccio s’innamora di Gliceria, e vestito da laico fraudolentemente la prende per moglie; e ingravidata, l’abbandona, e ritorna al monasterio. Il che presentito dal guardiano, la marita.


Ho più volte udito dire, donne mie care, che la virtù perisce per la fraude; e questo avenne ad un religioso tenuto uomo divoto, il quale, acceso dell’amor d’una giovanetta, quella per moglie prese, e scoperto, fece l’amara penitenza, e la giovane fu onorevolmente maritata, sì come nel discorso del parlar mio intenderete.

In Roma trovavasi un frate Bigoccio, nato di nobile e generosa famiglia, giovane assai e dotato de’ beni del corpo e di fortuna. Il miserello era talmente acceso dell’amore d’una bellissima giovanetta, che poco vi mancava, che giunto non fusse al fine della sua vita. Egli non aveva riposo mai nè giorno nè notte; era tutto attenuato, squallido e macilente; non gli valevano medici, non medicine, non rimedii d’alcuna cosa, nè giovavali la speranza nella copia delle paterne ricchezze. Per il che stando egli di continovo in questi pensieri, e or uno or un altro rimedio fantasticando, divenne a questo consiglio di fingere alcune littere false indrizzate al suo superiore per aver licenzia di partirsi. E compose certe lettere fitticie e simulate, infingendo che ’l padre suo infermo quelle scrivesse al suo guardiano, in questa forma: Reverendo padre, poichè piace al sommo e onnipotente Iddio di terminare la mia vita, nè può molto tardar la morte, che oramai è poco lontana, ho deliberato, anzi che io mi parta da