Pagina:Strocchi - Elogi e discorsi accademici.djvu/136

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tici parlamenti non rifugge di citare testi di Orazio e di Virgilio, e non tiene per educato alle buone lettere chi non conosca le greche. Fu secolo, in che la lingua latina era esercizio comune a letterati italiani, e studio frequente la greca. Lodovico Ariosto quasi vergognando si doleva a Pietro Bembo di non avere studiato in questa; se ne scusava sopra il misero caso del suo maestre Gregorio da Spoleto. Però, se avvegna, che il Genio della poesia spiri ad anima potentemente, l’effetto più volte ha dimostrato, che alla nostra, la quale io dirò terza letteratura, può bastare il soccorso della seconda. Perlochè stimo saggio divisamente prendere con essa per tempo domestichezza, che più tardi sarebbe forse tentata invano. Chi è che di là dal velame di questo mistero sappia vedere e dire, se negli anni della giovinezza sieno per germogliare semi che non furono posti in quelli della adolescenza? Non interviene dello imparare lingue morte ciò, che delle vive, massime se esse derivino dalla latina, della quale, dissi, tanto è opportuno, è necessario prendere conoscenza per tempo, quanto essa ne’ suoi esemplari è quell’astro, che non soggiacendo a mutamento di aspetto e di loco, è guida costante e sicura a chi naviga l’incerto e periglioso mare delle lettere; anzi dietro la luce di quell’astro più agevolmente si sale alla conoscenza dell’idioma di Omero. Se il vecchio tuttavia osservato metodo, secondo il parere di alcuni, è dalla filosofia escluso, niuno de’ nuovi fu per anco dalla esperienza lodato. Ogni difetto, che imputar si voglia agl’insegnatori, non cade a colpa dell’insegnamento. È