Pagina:Studi intorno alla storia della Lombardia negli ultimi trent'anni.djvu/169

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PARTE SECONDA 157

Ho detto che il Pallavicini era giovane assai. Egli avea certamente nudrita la sua mente con la lettura di Plutarco e di Tito Livio, e imparatovi come i grandi uomini dell’antichità si sagrificassero pei loro amici e sapessero morire con essi quando non potean salvarli. E in vero non ebbe appena udito della cattura dell’amico, che attribuendone subito la causa al viaggio fatto di conserva con esso in Piemonte, esclamò: “volere, ben lungi dal fuggire, voler condividere il destino del Castillia; il massimo torto essere stato il suo; aver lui proposto quel viaggio; non averlo seguìto l’amico se non per condescendenza, ec., ec.”. Nè fu pago di dir queste cose fra le domestiche pareti; ma, fatto sordo ai consigli, e direi quasi alle suppliche instanti del fratello del Castillia, il quale sforzavasi di fargli intendere i tristi possibili effetti del passo ch’egli stava per fare, uscì precipitoso fuori di casa e corse senza prendere fiato all’ufficio della Polizia, ove richiese ad uno ad uno tutti gli ufficiali in cui si abbattè, di chiuderlo in carcere col suo amico. Quelle strane instanze non ebbero lo sperato esito. Il Pallavicini fu ributtato burberamente; gli dissero non bastare il voler essere incarcerato per venir chiuso in carcare, e lo esortarono ad andarsene. Io non so invero se questa mattía fosse necessaria per cagionare l’arresto del Pallavicini; perocchè la sua gita in Piemonte veramente ponealo fra’ primi nella lista dei sospetti; e se l’Austria era allora determinata a porre in chiara luce gli accordi che eransi fatti nel 1821 fra i Lombardi e i Piemontesi, essa non potea cominciar meglio l’opera sua che con la cattura del Pallavicini. Fatto è che questi non