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184 PARTE SECONDA

go ed eterno addio all’incomparabile verzura de’ nostri prati, al placido azzurro del nostro cielo, alla splendida luce, e ai caldi raggi del nostro sole. Abbandonavano la patria e avevano perduta la libertà; si può egli dare maggiore sventura?

«La buona compagnia che l’uom francheggia
Sotto l’usbergo del sentirsi pura»

non veniva loro meno certamente. Io però non saprei dire se l’animo mio sia più fiacco di quello degli altri uomini, o se siamo tutti soggetti alle istesse debolezze; ma, in quanto a me, confesso che difficilmente potrei serbare ferma ed intatta la stima di me medesimo, a dispetto del biasimo universale. Trattisi un uomo virtuoso come si tratta un malfattore; gli si dimostri disprezzo, avversione, commiserazione all’uopo; sia egli esortato a pentirsi; non gli si lasci udire giammai la verità; sia un tale supplizio per un lungo tempo prolungato, e vedrassi che costui finirà per dubitare di sè stesso. Fra’ condannati di quei tempi, ebbevene forse taluno per cui un tale tormento s’aggiunse agli altri, assai meno fieri di questo. Il contegno della popolazione milanese in tutto il tempo dell’esposizione pubblica dei condannati politici fu tale invero dal far entrare quel dubbio cocente negli animi timorati. Il difetto di simpatia o, per meglio dire, l’indifferenza che i condannati videro sui volti nel loro passaggio, ne esacerbò certamente l’angoscia. Un grand’amore di patria richiedesi per esporsi a siffatta ventura; e la storia di queste splendide annegazioni è il più valido argomento che si possa addurre per ismentir formalmente le parole di