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44 | PARTE PRIMA |
semplicissima risposta avrebbe fatto, o ch’io m’inganno di grosso, maggior impressione nell’animo del vicerè, che non le più sottili deduzioni della più sana politica.
Giunse il 16 di aprile dell’anno 1814. Ognun sa che l’esercito franco-italo, ritrattosi sul Mincio, vi si reggeva in buona condizione, e che gli ultimi fatti d’arme erangli iti a seconda. Le notizie dei fatti accaduti a Parigi indussero il vicerè ad appigliarsi a quei partiti dai quali aveva fino allora aborrito. Semplice ormai, e, per così dire, facile diventava il suo cómpito. Egli avea chiuso l’orecchio alle insinuazioni dei sovrani alleati, da cui era stato eccitato a scostarsi dall’imperatore e ad assicurare a sè stesso e a’ suoi successori un trono in Italia. Avea ributtato i consigli e le instanze di Murat, che lo esortava a seguire il proprio esempio, aggiungendovi che, se troppo grave eragli il collegarsi coi nemici del suo benefattore, ei potea tuttavia, senza fraudare il debito della riconoscenza, adoperarsi da sè per la propria salvezza, e giovarsi pel suo proprio pro delle forze cui imperava. Avea in somma, finchè l’imperatore potè essere sorretto, consacrata a lui ogni sua possa e facoltà. Ma ora, caduto l’imperatore, pareva che i vincoli che univano il servitore al signore, il figliuolo al padre, il beneficato al benefattore, si fossero naturalmente disciolti. E, invero, la notizia dell’ingresso dei Sovrani alleati in Parigi, e della abdicazione dell’imperatore, data in Fontainebleau, mutò di repente e la posizione e i disegni del vicerè. Ei tosto depose l’intenzione di guerreggiare, chè bene addavasi di non potere da solo reggersi contro tutta quanta l’Europa, in quei pachi dipartimenti italici cui possedeva tuttora. Eragli