Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
CAPITOLO XIX.
Nuvola Rossa riaccese per la terza volta il calumet, si accomodò sulla pelle di bisonte arrotolata che gli serviva di sedile, quindi prese una delle due tazze e si mise a centellinare il contenuto, facendo scoppiettare la lingua.
Yalla aveva lasciata piena la sua. Il volto della fiera donna a poco a poco assumeva un aspetto sempre più duro, sempre più feroce, mentre i suoi occhi diventavano quasi fosforescenti.
Una collera terribile doveva avvampare, in quel momento, nel cuore della sakem dei formidabili Sioux, collera che Nuvola Rossa indovinava, ma che lo lasciava perfettamente impassibile.
Fra quei due strani esseri durò un lungo silenzio, interrotto solo dal grido delle sentinelle vigilanti intorno al vastissimo campo.
Fu ancora Yalla che per la prima lo ruppe, poichè pareva che Nuvola Rossa avesse giurato di consumare tutta la provvista di moriche offertagli da Mano Sinistra, ed anche di asciugare completamente la fiasca, prima, d’incomodarsi a snodare la lingua.
— Dunque i figli del colonnello sono ancora liberi — disse.
— Mi pare di avertelo detto — rispose Nuvola Rossa — mentre tu ti sei dimenticata di dirmi se il colonnello è morto.
— Se l’ho scotennato!...
— Chi?
— Io — rispose Yalla, freddamente.
Nuvola Rossa la guardò con una certa ammirazione.
— Hai fatto bene — disse poi. — Io però ho i miei dubbi che tu l’abbia finito. Un uomo, anche scotennato, può sopravvivere se non ha ricevuto delle altre ferite.
Nella mia tribù vi sono parecchi guerrieri che hanno subìto quella poco piacevole tortura, e li ho veduti mangiare e bere con non minore appetito di me, pur dolendosi di provare, di tratto in tratto, specialmente durante i cambiamenti di tempo, degli intensi e talvolta insopportabili dolori al capo.
— È vero quello che mi dici? — chiese Yalla, mentre il suo viso manifestava una intensa gioia selvaggia. — Soffrono proprio molto?
— Sì.