Pagina:Svevo - Corto viaggio sentimentale e altri racconti, 1949.djvu/405

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ne aveva neppure per l’Olivi ch’era tanto piú povero di me.

Fin qui avevo saputo domare la voce turbolenta che dall’imo delle mie viscere mi urlava: «Come sei buono, come sei buono!». Ma pare che attraverso alla mia bocca quel suono sia finito pure per coll’essere percepito dal povero Valentino. Aveva però abusato della mia bontà. S’era messo a provarmi che l’affare aveva una grande importanza perché poteva avvenire che un anno dell’esercizio desse per risultato una forte perdita e allora essa sarebbe stata resa piú sensibile dall’esborso del salario all’Olivi.

Ma che c’entrava questo? Perché tutt’ad un tratto, ora che aveva sentito che l’affare era stato concluso e per quanto non si credesse, citava gli argomenti che militavano contro la sua conclusione? Forse per intendere meglio l’affare? Io non so neppure come il mio suono d’impazienza e d’ira sia potuto essere stato percepito da lui perché io non dissi altre parole pacate: Conoscevo la mia ditta e i miei affari e perciò potevo escludere che ne derivasse una perdita trattati come erano da un uomo prudente come l’Olivi. Ma la mia impazienza irosa dovette trapelare chiara ed offensiva perché tutt’ad un tratto la faccia del povero Valentino di solito immobilizzata, assorta nell’attenzione intensa del buon impiegato, si agitò, si sbiancò ed egli andò deciso alla porta. Era tanto offeso che pareva volesse negligere ogni buona forma e uscire senza una parola. Alla soglia si fermò e con la voce malferma ad onta che fosse sempre appoggiata al naso, mi disse: «Già, è certo che io in cotesto affare non c’entro. Parlavo solo perché l’Olivi me ne aveva pregato, eppoi anche nel tuo interesse».

Io sempre sdraiato nella mia poltrona lo guardavo stupito cercando di trovare fra le parole che gli avevo detto quale avesse potuto ferirlo. Ma non la trovai anche perché egli mi confuse esagerando nelle buone forme e mi disse ancora che ci saremmo rivisti a cena per parlare di tutt’altre cose e mai piú di quell’affare. Mai piú? Non era un eccesso di dire cosí? Erano troppe le cose cui in un solo istante dovevo pensare e perciò la parola offensiva che doveva essermi uscita di bocca