Pagina:Svevo - Corto viaggio sentimentale e altri racconti, 1949.djvu/43

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gio. Secondo il signor Aghios di allora, quand’era piú giovine e perciò piú virtuoso, questa era una grande comodità. Perché se alle occhiate fosse seguita la parola, si sarebbe corso il pericolo di trovarsi trasportato di colpo da quella patria ideale al bosco piú pericoloso.

Egli credeva cosí di essere rimasto sempre un monogamo virtuoso che poteva sopportare lo sguardo sincero della moglie. Essa non c’entrava nel suo mondo ideale. Il reale era tutto suo. Tutto era nettamente diviso, perché nei suoi sogni essa non entrò giammai e adesso, in viaggio, meno che mai, perché il signor Aghios volava come se il treno si fosse mutato in un aeroplano. Una sola volta a lei pensò: “Poverina! Speriamo che a quest’ora neppure lei a me pensi”.

Oltre alla donna c’erano in quel compartimento sette uomini e finora il signor Aghios non li aveva visti. Del suo vicino dovette accorgersi. Era un giovanotto pallido che si sarebbe potuto credere uscisse da una malattia, perché tradiva la sofferenza mentre il suo organismo aveva le linee di quello di un uomo forte, agile, sano. Lo spazio non gli bastava. Stendeva ora una gamba, ora l’altra sotto il sedile occupato da un grosso signore che gli stava di faccia e che guardava traverso gli occhiali con una calma serena, deciso a non fermare quelle gambe finché non l’avessero urtato. Avanzavano come se volessero finire su lui in un calcio, eppoi passavano nello spazio fra le sue due grosse gambe senza neppure sfiorarle. E il grosso uomo (il signor Aghios lo guardò ora soltanto) aveva degli occhiali dalle lenti di uno spessore sorprendente. La luce vi si frangeva e mandava sulle sue palpebre una macchia azzurra luminosa che dava alla sua faccia l’aspetto del Mefistofele del teatro lirico. E fra quell’uomo tranquillo che aspettava il calcio per protestare e l’altro, inquieto e sofferente, le simpatie del signor Aghios andarono intere al malato. Il movimento è il sollievo del corpo dolorante; si sposta come se al dolore volesse fuggire. Ora il giovinotto cercò di muoversi in altra direzione, forse perché da quella parte sentiva la minaccia di quei grossi occhiali e del loro riverbero. Guardò dietro di sé il soffice cuscino su cui