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ARGO E IL SUO PADRONE

Numero 1

La morte di Argo

Egli aveva una grave ferita alla pancia. Aveva voluto saltare oltre una chiusura fatta di stanghe di ferro acuminate ma aveva mal calcolato lo slancio e le stanghe di ferro gli avevano squarciato il ventre. Aveva dovuto fare uno sforzo immane per liberarsi da quelle punte che lo tenevano afferrato. Ogni suo movimento allargava e approfondiva le ferite. Cadde finalmente a terra proprio dalla parte ove si trovava il coniglio che aveva provocato il suo salto. Il coniglio lo guardava da lontano con gli stupidi occhi che a fatica guardavano verso un punto solo. Ad Argo parve che il pauroso animale non lo temesse piú. Sentendosi mancare pensò: Se è vero tutto questo, la ferita e la mia debolezza, allora esso ha ragione. Il dolore rabbioso lo fece guaire altamente. Poi per prudenza si costrinse al silenzio ma era tale il dolore e fu talmente aumentato dalla proibizione di lagnarsi che perdette i sensi. E, rinsensando – lo stesso dolore che gli aveva tolto la coscienza gliela ridonava imperiosa e atroce — ebbe di nuovo la speranza che non fosse vero. Tentò di leccare la ferita. Ogni colpo di lingua destava un nuovo focolare di dolore cocente. Smise. Pensò che se poteva sperare in una guarigione, doveva prima di tutto celarsi. Su quel terreno ch’egli aveva invaso da nemico potevano esserci molti pericoli per lui oramai inerme. Vide a poca distanza dei legnami accatastati che formavano un

Numero 2

A quel ricordo io addento la scarpa temendo mi sfugga con un balzo fuori del breve circuito in cui la catena mi concede di muovermi. In bocca diventa piú viva. La sbrano come si deve coi nemici. Dove s’apre l’odore s’espande ed è piú mio.