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V

ALLA STAZIONE DI VENEZIA


La stazione era pressoché vuota. Al restaurant vi erano occupati tre tavoli e da gente che non pareva accingersi al viaggio visto ch’erano privi di bagagli. Non una donna. Dietro il banco alla cassa ve n’era una sola e vecchia.

Del resto il signor Aghios era ansioso di sentire le confidenze del Bacis ed era tutt’intento ad un’attività negativa: Impedire a se stesso di fare un cenno o dire una parola che potesse essere interpretata come un incentivo al Bacis di fare tali confidenze. Non c’era piú tempo di guardarsi d’attorno. Il signor Aghios non si trovava in viaggio, ma in una casa. Se nel frattempo il giovanotto avesse deciso altrimenti, egli non avrebbe cercato di farlo desistere. Era un sacrificio, dopo di aver già sacrificato qualche cosa al Bacis e alla sua tragedia. Ma non bisognava fare errori, perché gli errori che si commettono in viaggio sono irreparabili. Le persone che si assistono non si rivedono piú e non v’è piú riparazione possibile.

Un momento perdettero col cameriere. Il signor Aghios ordinò della carne fredda e del vino. Avevano ancora molto tempo perché, benché la gondola fosse stata contrattata fino alla mezzanotte, Bortolo aveva fatto in modo di liberarsi dal suo fardello alle undici. Il Bacis accettò un pezzo di pane e un pezzo di carne che il signor Aghios gli porse, ma non ne ingoiò che qualche boccone sollecitatovi piú volte. Invece vuotò quasi senz’accorgersene molti bicchieri di vino, proprio nel corso del discorso cui i bicchieri servivano quasi d’interpunzione. Per imitazione e lui pure senza accorgersene, ne bevette molto anche l’Aghios.

Non c’era pericolo che l’Aghios perdesse le confidenze. Fu un fiume di parole da cui fu investito. Da bel principio irruenti parole, come se fossero giaciute contenute da troppo tempo in gola.