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sua vettura e continuò ad agitare il fazzoletto finchè potè vederci.

Poi accompagnammo la signora Malfenti lacrimante a casa. Al momento di dividerci, mia suocera dopo di aver baciata Augusta, baciò anche me.

— Scusa! — disse ridendo fra le lacrime — l’ho fatto senza proposito, ma se lo permetti ti dò anche un altro bacio.

Anche la piccola Anna, oramai dodicenne, volle baciarmi. Alberta, ch’era in procinto di abbandonare il teatro nazionale per fidanzarsi, e che di solito era un po’ sostenuta con me, quel giorno mi porse calorosamente la mano. Tutte mi volevano bene perchè mia moglie era fiorente, e facevano così delle manifestazioni di antipatia per Guido, la cui moglie era malata.

Ma proprio allora corsi il rischio di divenire un marito meno buono. Diedi un grande dolore a mia moglie, senza mia colpa, per un sogno cui innocentemente la feci addirittura partecipare.

Ecco il sogno: eravamo in tre, Augusta, Ada ed io che ci eravamo affacciati ad una finestra e precisamente alla più piccola che ci fosse stata nelle nostre tre abitazioni, cioè la mia, quella di mia suocera e quella di Ada. Eravamo cioè alla finestra della cucina della casa di mia suocera che veramente si apre sopra un piccolo cortile mentre nel sogno dava proprio sul Corso. Al piccolo davanzale c’era tanto poco spazio che Ada, che stava in mezzo a noi tenendosi alle nostre braccia, aderiva proprio a me. Io la guardai e vidi che il suo occhio era ridivenuto freddo e preciso e le linee della sua faccia purissime fino alla nuca ch’io vedevo coperta dei suoi riccioli lievi, quei riccioli ch’io avevo visti tanto spesso