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Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/515

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temente voleva riprendermi. Io gli dissi che avevo degli affari urgenti, delle quistioni di famiglia che mi occupavano e preoccupavano e che non appena mi fossi trovato in quiete sarei ritornato da lui. Avrei voluto pregarlo di restituirmi il mio manoscritto, ma non osai; sarebbe equivalso a confessargli che della cura non volevo più saperne. Riservai un tentativo simile ad altra epoca quand’egli si sarebbe accorto che alla cura non ci pensavo più e vi si fosse rassegnato.

Prima di lasciarmi egli mi disse alcune parole intese a riprendermi:

— Se lei esamina il suo animo, lo troverà mutato. Vedrà che ritornerà subito a me solo che s’accorga come io seppi in un tempo relativamente breve avvicinarla alla salute.

Ma io, in verità, credo che col suo aiuto, a forza di studiare l’animo mio, vi abbia cacciato dentro delle nuove malattie.

Sono intento a guarire della sua cura. Evito i sogni ed i ricordi. Per essi la mia povera testa si è trasformata in modo da non saper sentirsi sicura sul collo. Ho delle distrazioni spaventose. Parlo con la gente e mentre dico una cosa tento involontariamente di ricordarne un’altra che poco prima dissi o feci e che non ricordo più o anche un mio pensiero che mi pare di un’importanza enorme, di quell’importanza che mio padre attribuì a quei pensieri ch’ebbe poco prima di morire e che pur lui non seppe ricordare.

Se non voglio finire al manicomio, via con questi giocattoli.