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pello. Per fortuna ricordai che avrei dovuto pagare le rose e non lasciai perciò a casa insieme alla giubba anche il portafoglio.

Prima di tutto mi recai nella campagna vicina, dal padre di Teresina, per pregarlo di tagliare le rose che sarei venuto a prendere al mio ritorno. Entrai nel grande cortile cinto da un muro alquanto rovinato e non vi trovai nessuno. Urlai il nome di Teresina. Uscì dalla casa il più piccolo dei bambini che allora avrà avuto sei anni. Posi nella sua manina qualche centesimo ed egli mi raccontò che tutta la famigliola di buon’ora s’era recata al di là dell’Isonzo, per una giornata di lavoro, su un suo campo di patate di cui la terra aveva bisogno di essere rassodata.

Ciò non mi spiaceva. Io conoscevo quel campo e sapevo che per giungervi abbisognavo di circa un’ora di tempo. Visto che avevo stabilito di camminare per un due ore, mi piaceva di poter attribuire alla mia passeggiata uno scopo determinato. Così non c’era la paura d’interromperla per un assalto improvviso d’infingardaggine. M’avviai traverso la pianura ch’è più alta della strada e di cui perciò non vedevo che i margini e qualche corona d’albero in fiore. Ero veramente giocondo: così in maniche di camicia e senza cappello mi sentivo molto leggero. Aspiravo quell’aria tanto pura e, come usavo spesso da qualche tempo, camminando facevo la ginnastica polmonare del Niemeyer che m’era stata insegnata da un amico tedesco, una cosa utilissima a chi fa una vita piuttosto sedentaria.

Arrivato in quel campo, vidi Teresina che lavorava proprio dalla parte della strada. M’avvicinai a lei e allora m’accorsi che più in là lavoravano insieme al