Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/534

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In altre condizioni io mi sarei adirato enormemente di non poter mangiare avendo tanta fame. Invece quel giorno la grandezza dell’avvenimento storico cui avevo assistito, m’imponeva e m’induceva alla rassegnazione. Il conduttore cui regalai delle sigarette non seppe procurarmi neppure un tozzo di pane. Non raccontai a nessuno delle mie esperienze della mattina. Ne avrei parlato a Trieste a qualche intimo. Dalla frontiera verso la quale tendevo il mio orecchio non veniva alcun suono di combattimento. Noi eravamo fermi a quel posto per lasciar passare un otto o nove treni che scendevano turbinando verso l’Italia. La piaga cancrenosa (come in Austria si appellò subito la fronte italiana) s’era aperta e abbisognava di materiale per nutrire la sua purulenza. E i poveri uomini vi andavano sghignazzando e cantando. Da tutti quei treni uscivano i medesimi suoni di gioia o di ebbrezza.

Quando arrivai a Trieste la notte era già scesa sulla città.

La notte era illuminata dal bagliore di molti incendi e un amico che mi vide andare verso casa mia in maniche di camicia mi gridò:

— Hai preso parte ai saccheggi?

Finalmente arrivai a mangiare qualche cosa e subito mi coricai.

Una vera, grande stanchezza mi spingeva a letto. Io credo fosse prodotta dalle speranze e dai dubbii che tenzonavano nella mia mente. Stavo sempre molto bene e nel periodo breve che precedette il sogno di cui con la psico-analisi m’ero esercitato a ritenere le immagini, ricordo che conclusi la mia giornata con un’ultima in-