Pagina:Svevo - La novella del buon vecchio e della bella fanciulla ed altri scritti, 1929.djvu/177

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La favola restò tuttavia la piccola mummia irrigidita da assiomi e teoremi, ma almeno la si potè scriver sorridendo.

E la vita di Mario s’arricchì di sorrisi. Un giorno scrisse:

— Il mio cortile è piccolo, ma, con l’esercizio, vi si potrebbero spendere dieci chilogrammi di pane al giorno. — Un vero sogno di poeta cotesto. Dove trovare in quell’epoca dieci chilogrammi di pane per gli uccellini privi di tessera? Un altro giorno: — Vorrei saper abolire la guerra sul piccolo ippocastano nel mio cortile, la sera, quando i passeri cercano il miglior posto per la notte, perchè sarebbe un buon segno per l’avvenire dell’umanità.

Mario coperse di tante idee i poveri passeri da celarne le esili membra. Il fratello Giulio che abitava con lui, e pretendeva di amare la sua letteratura, non sapeva amarla abbastanza per includervi anche gli uccelletti. Pretendeva che mancassero d’espressione. Ma Mario spiegava ch’erano essi stessi un’espressione della natura, un complemento delle cose che giacciono o camminano, al disopra di esse, come l’accento sulla parola, un vero segno musicale.