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solo risparmiarmi il vocabolario, di cui è tanto difficile di sopportare la lettura.
Il povero Giulio non sapeva che v’è un solo mezzo per attenuare un’offesa involontaria: fingere di non accorgersene e credere che l’altro non l’abbia intesa. Ogni altra spiegazione equivale a ribadirla, rinnovarla.
E Mario, ferito a sangue, urlò: — Ma non ti dissi che si tratta della mia gola? Per questa la prosa del Fogazzaro, del De Amicis o la mia fanno lo stesso.
Era una bella e buona bugia, ma non era accorto Giulio a rilevarla. Disse mitemente: — Tu sai ch’io amo la tua prosa più di quella di tutti gli altri. Non sto a sentirla ogni sera da tanti anni, benchè la sappia quasi a memoria? Solo mi seccano le correzioni. Noi che non siamo letterati, amiamo le cose definitive. Se in nostra presenza si cambia una parola, non crediamo vera tutta la pagina.
L’ammalato aveva dato segno di un certo talento critico ma nello stesso tempo di un’ingenuità sconfinata. Aveva dunque fatto leggere a Mario delle cose ch’egli già sapeva a memoria? Non era un rimprovero atroce cote-