Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/102

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sarebbero ritornati all’antica vita divenuta però più greve; gli altri non avrebbero trovato mai più la quaresima.

Sbadigliò di nuovo; anche il proprio pensiero l’annoiava. — Sa di scirocco — pensò e guardò di nuovo la luna luminosa che poggiava sul monte come su un piedestallo.

Ma il suo occhio si fermò su tre figure che scendevano l’Acquedotto. Lo colpirono perchè subito s’accorse che tutt’e tre si tenevano per mano. Un uomo tozzo e piccolo in mezzo, due donne, due figure slanciate, ai lati; pareva un’ironia ch’egli si propose di scolpire. Avrebbe vestite le due donne alla greca, l’uomo in una giubba moderna; avrebbe dato alle donne il riso forte delle baccanti, all’uomo avrebbe stampato in faccia la fatica e la noia.

Ma avvicinatesi le figure, egli dimenticò del tutto quella visione. Una delle donne era Angiolina, l’altra certa Giulia, una ragazza non bella che Angiolina aveva fatta conoscere al Balli e ad Emilio. Non conosceva l’uomo che passò a pochi passi da lui, la testa alta e sorridente, veneranda per una grande barba bruna. Non era il Volpini ch’era fulvo.

Giolona rideva di cuore col suo riso sonoro e dolce; certo l’uomo era là per lei, e a Giulia veniva premuta la mano soltanto in grazia sua. Il Balli lo credette fermamente senza però saperne dire il perchè, la propria forza d’osservazione lo divertì tanto che dimenticò la noia di tutta la serata. — Ecco un’occupazione originale; farò la spia! — Li seguì te-