Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/165

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duti anche i suoi lieti sogni. La sentì voltarsi più volte nel letto che neppure a lei sembrava molle.

Verso la mattina ella lo sentì alla porta e gli chiese che cosa volesse.

Egli era ritornato là nella speranza di udirla parlare, di apprendere ch’ella godesse almeno una volta nelle ventiquattr’ore. — Niente — rispose lui profondamente accorato di sentirla desta — mi pareva che ti movessi, e volevo vedere se ti occorresse qualche cosa.

— No, non mi occorre niente — rispose ella mitemente. — Grazie, Emilio.

Egli senti d’essere stato perdonato e ne provò una soddisfazione vivissima e dolce tanto che gli si inumidirono gli occhi. — Ma perchè non dormi? — L’istante era tanto felice ch’egli voleva gustarlo; lo prolungava e lo rendeva più intenso facendo sentire alla sorella il proprio affetto commosso.

— Mi sono destata or ora; ma tu?

— Io dormo pochissimo da parecchio tempo — rispose lui: credeva sempre che ad Amalia dovesse derivare un sollievo dal sapere quali dolori patisse anche lui. Poi, ricordando le parole scambiate col Sorniani, le annunziò che aveva deciso di andare a distrarsi alla Valchiria. — Ci vieni anche tu?

— Ben volentieri — rispose essa. — Basta che non ti costi troppo.

Emilio protestò. — Per una volta tanto. — Batteva