Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/171

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genio. No. Per lui si movevano sulla scena eroi e dei, e lo trascinavano con sè lontano dal mondo ove aveva sofferto. Negl’intervalli egli cercava invano nel ricordo qualche accento che avesse meritato un travestimento simile. L’arte forse lo guariva?

Quando, a spettacolo finito, abbandonò il teatro, era tanto animato da quella speranza che non vide che la sorella era più abbattuta del solito. Respirando a pieni polmoni la fredda aria notturna, disse che quella serata gli aveva fatto molto bene. Ma, mentre, verboso chiacchierone come sempre, andava raccontando di quale strana calma si fosse sentito pervaso, una grande tristezza gli salì al cuore. L’arte non gli aveva dato che un intervallo di pace, e non glielo avrebbe potuto ridare, perchè ora certi ricordi mozzi della musica s’attagliavano benissimo a certe proprie sensazioni, se non altro alla compassione di se stesso, d’Angiolina e di Amalia.

Nell’eccitazione in cui si trovava, si sarebbe voluto calmare, provocando da Amalia nuove confidenze. Dovette capire che s’erano spiegati invano. Ella continuò a soffrire muta, non ammettendo neppure d’avergli mai fatto intendere niente. Certamente il loro dolore d’origine tanto simile non li aveva avvicinati.

Un giorno la sorprese sul Corso mentre ella camminava lentamente in pieno meriggio, a passeggio. Portava un vestito che da lungo tempo non doveva aver indossato perchè Emilio non l’aveva mai visto. Dei colori azzurri, chiari, su una stoffa grezza che le vestiva goffamente il povero corpo dimagrito.