Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/182

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— Sì — rispose Angiolina trattenendo una risata. — Mi corico subito. Addio, mamma.

Accese una candela e si levò il mantello e il cappello. Poi gli si abbandonò o, meglio, lo prese.

Emilio potè esperimentare quanto importante sia il possesso di una donna lungamente desiderata. In quella memorabile sera egli poteva credere d’essersi mutato ben due volte nell’intima sua natura. Era sparita la sconsolata inerzia che l’aveva spinto a ricercare Angiolina, ma erasi anche annullato l’entusiasmo che lo aveva fatto singhiozzare di felicità e di tristezza. Il maschio era oramai soddisfatto ma, all’infuori di quella soddisfazione, egli veramente non ne aveva sentita altra. Aveva posseduto la donna che odiava non quella ch’egli amava. Oh, ingannatrice! Non era nè la prima, nè — come voleva dargli ad intendere — la seconda volta ch’ella passava per un letto d’amore. Non valeva la pena di adirarsene perchè l’aveva saputo da lungo tempo. Ma il possesso gli aveva data una grande libertà di giudizio sulla donna che gli si era sottomessa. — Non sognerò mai più — pensò uscendo da quella casa. E poco dopo, guardandola, illuminata da pallidi riflessi lunari: — Forse non ci ritornerò mai più. — Non era una decisione. Perchè l’avrebbe dovuta prendere? Il tutto mancava d’importanza.

Ella l’aveva accompagnato sino alla porta di casa. Non s’era accorta di alcuna sua freddezza perchè egli si sarebbe vergognato di mostrarne. Anzi, premurosamente egli aveva chiesto per la sera appresso un