Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/190

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memoria ogni singolo particolare di quella scena. Ora appena poteva dire di conoscere Angiolina. La passione gli aveva dati dei ricordi indelebili, e su questi riusciva a ricostruire dei sentimenti che Angiolina non aveva espressi, che aveva anzi accuratamente celati. A mente fredda egli non sarebbe riuscito a tanto. Così, invece, egli sapeva, sapeva con certezza apodittica come se ella glielo avesse dichiarato a chiare note, ch’ella aveva conosciuto dei maschi che l’avevano soddisfatta meglio. Aveva detto più volte: — Ma adesso basterà. Non ne posso più. — Aveva cercato un accento di ammirazione che non aveva trovato. Egli avrebbe potuto dividere la serata in due parti. Nella prima ella lo aveva amato; nella seconda s’era fatta forza per non respingerlo. Quando abbandonò il letto, tradì d’essere stanca di starvi. Allora, naturalmente, per indovinarla tutta, non occorse grande forza d’osservazione, perchè, vedendolo esitante, ella lo spinse fuori dal letto dicendogli scherzosamente: — Andiamo, bell’uomo. — Bell’uomo! La parola ironica doveva essere stata pensata da una mezz’ora circa. Egli l’aveva letta sulla sua faccia.

Come sempre, egli avrebbe avuto bisogno di restare solo per avere il tempo d’ordinare le proprie osservazioni. Per il momento percepì confusamente ch’ella non gli apparteneva più, la medesima sensazione che aveva avuta quella sera, in cui s’era trovato con Angiolina al Giardino Pubblico per aspettarvi il Balli e Margherita. Era un dolore atroce di