Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/194

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delle copie di quelli serii e un po’ imperiosi del Leardi. Anche il Sorniani le doveva aver insegnato qualche cosa, e persino il Balli aveva lasciato traccia di sè, essendo stato copiato accuratamente in una certa sua affettazione d’intontita sorpresa o ammirazione. Emilio stesso non si riconosceva in alcuna parola o gesto di lei. Con amara ironia una volta pensò: Forse per me non c’è più posto.

Il più odiato rivale restava per lui quell’ignoto. Era strano com’ella avesse saputo non nominare quell’uomo che doveva essere passato di recente nella sua vita, mentre le piaceva tanto di vantarsi dei suoi trionfi, persino dell’ammirazione spiata negli occhi degli uomini nei quali s’imbattesse una sola volta sulla via. Tutti erano pazzamente innamorati di lei. — Tanto più merito ho avuto — ella asseriva — di essere rimasta sempre a casa durante la tua assenza, e ciò dopo essere stata trattata a quel modo da te. — Sì! Ella voleva fargli credere che durante la sua lontananza ella non avesse fatto altro che pensare a lui. Ogni sera, in famiglia, avevano ventilata la questione se ella dovesse scrivergli o no. Suo padre cui stava molto a cuore la dignità della famiglia non aveva voluto saperne. Visto che all’idea di quel consiglio di famiglia Emilio s’era messo a ridere, ella gridò: — Domandalo a mamma se non è vero.

Era una mentitrice ostinata benchè, in verità, non conoscesse l’arte di mentire. Era facile farla cadere in contraddizione. Ma quando tale contraddizione le era stata provata, ella tornava con fronte serena ai