Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/58

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imprevedibili della luce, pareva di sentire un lieve rumore.

— Perchè civetti? — chiese egli costringendosi ad un sorriso.

Senz’arrossire e ridendo, ella rispose: — Io? Ho gli occhi per guardare, io. — Ella era dunque consapevole del movimento del suo occhio; s’ingannava soltanto dicendolo «guardare».

Poco dopo passò un impiegatuccio, certo Giustini, bel giovinetto che Emilio conosceva di vista. L’occhio di Angiolina si ravvivò ed Emilio si volse a guardare il fortunato mortale ch’era già passato. L’impiegatuccio s’era fermato a guardarli. — S’è fermato a guardarmi, eh? — chiese essa sorridendo lieta.

— Perchè te ne compiaci? — chiese egli con tristezza. Ella non lo comprese neppure. Poi, con astuzia, volle fargli credere ch’ella di proposito cercasse di renderlo geloso, e, infine, per quietarlo, spudoratamente, alla luce del sole, fece con le labbra rosse una smorfia che voleva rappresentare un bacio. Oh, ella non sapeva fingere. La donna ch’egli amava, Ange, era sua invenzione, se l’era creata lui con uno sforzo voluto; essa non aveva collaborato a questa creazione, non l’aveva neppure lasciato fare perchè aveva resistito. Alla luce del giorno il sogno scompariva.

— Troppa luce! — mormorò egli abbacinato. — Andiamo all’ombra.

Essa lo guardò con curiosità vedendogli il viso