Pagina:Svevo - Una vita, 1938.djvu/114

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litico, idee da paralitico e che arrechino dei disturbi alle persone che lo contornano e... il romanzo è fatto. 

— Sí — esclamò Annetta — il romanzo sí, ma il successo? 

Ad Alfonso, che ne aveva qualche pratica, parve di poter arguire dalla descrizione di Prarchi che del romanzo ch’egli descriveva nulla ancora avesse fatto e che anzi giusto allora ne avesse avuto la prima idea. 

Prarchi era un giovane forte senz’esser grasso. Non bello, aveva la testa grande quasi calva e sul largo volto piccoli mustacchi di un biondo troppo chiaro. 

Fumigi avrebbe dovuto riuscire piú simpatico ad Alfonso e prima di tutto perché quella sera dirigeva di preferenza a lui la parola. Ciò però avveniva soltanto perché parlava malvolentieri ad alta voce e stava piuttosto cheto, la personcina magra poggiata allo schienale della seggiola, ascoltando attento e dicendo la sua parola di rado a bassa voce e diretta al suo vicino. I capelli della testa aveva grigi, dei mustacchi e della barbetta ancora neri. 

Alfonso penava per mettere la sua parola nel discorso generale e non gli riusciva. Fino ad allora Annetta aveva dovuto ammetterlo per letterato sulla raccomandazione di Macario. Egli non aveva saputo darne alcuna prova. Proprio quando si era sul punto di congedarsi comparve Francesca. Era pallida ma tranquilla. Strinse con effusione la mano ad Alfonso e gli chiese notizie di casa sua. Alluse con un sorriso, che ad Alfonso parve triste, alla lettera ch’ella aveva scritta alla signora Carolina. Sapeva dunque dell’incarico da lui ricevuto da Maller. 

Annetta le rivolse la parola dandole del lei e Alfonso cercava di rammentarsi se prima non le avesse udite trattarsi con maggior famigliarità. 

Sulle scale, alla domanda fattagli da Prarchi sulla ragione che poteva aver fatto desiderare alla signorina Francesca di abbandonare la casa Maller, Macario rispose: 

— Donne!... — con grande disprezzo.