Pagina:Svevo - Una vita, 1938.djvu/147

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L’anormalità nel contegno di Fumigi era tale che per poter fingere di non conoscerne la causa non si poteva fingere di non avvedersene. 

— Sta forse poco bene? 

— No... sí, un poco di emicrania. Ma quello che mi disturba di piú si è di dover stare all’aperto per essere sicuro di non mancare all’appuntamento. Del resto, a pensarci, l’assicuro che m’inquieto per cosa che assolutamente non lo merita. 

— È cosa di piccola importanza? — chiese Alfonso stupefatto. 

— No, di grandissima, ma insomma... — e diede un’alzatina di spalle la quale ad Alfonso sembrò volesse significare una sicurezza assoluta del fatto suo. 

— Allora perché agitarsi? 

Alfonso continuava a tranquillarlo, ma avrebbe dato molto per togliere a Fumigi quella fiducia che lo feriva profondamente. 

Per brevi istanti Fumigi sembrò piú tranquillo. Poscia ripiombò nelle sue meditazioni e dava tanto poco ascolto ad Alfonso che tutto ad un tratto si congedò interrompendo altra frase che Alfonso andava fabbricando per dargli calma. Aveva bisogno di rimanere solo, ma piú che altro desiderava di perdere tempo, e si congedava avendo cosí qualche cosa da dire che non fosse quello che per sollevarsi avrebbe raccontato tanto volentieri. Si congedò con molte parole raccontando che anche prima dell’appuntamento doveva recarsi in altro luogo. 

Alfonso lo seguí con occhio attento e non gli sfuggí in lui una lieve esitazione sulla via da prendere quando fu giunto nel bel mezzo della piazza. Era chiaro! Il poveretto portava a spasso i suoi dubbi dolorosi; altro scopo non aveva di moversi. 

E Alfonso da quella sola esitazione fu mosso a compassione e tolto all’ira destata in lui dalla sciocca sicurezza di Fumigi. Tant’oltre andò questa compassione ch’egli si perdeva a sognare sulle vie ch’erano aperte per conciliare la sua con la felicità di Fumigi. Non ve n’era, ma ciò non gli impedí di costruire su quella situazione un roman-