Pagina:Svevo - Una vita, 1938.djvu/247

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rato, era di convincerla a seguire la cura. Se la salvezza era ancora possibile, non poteva venire che da quella. 

Le portò un cucchiaio della pozione fin sotto le labbra quando ella non aveva ancora assentito. Stringendosi nelle spalle ella si lasciò convincere. 

Un’ora dopo stava meglio. 

— Sí, sí, — disse ella per calmare gli entusiasmi di Alfonso, — anche il mese scorso la medicina mi giovò la prima volta che la presi, mentre poi non mi fece che male. 

Egli si sdraiò vestito sul letto del padre e si propose di non dormire. Il sonno lo vinse e non si svegliò che a giorno chiaro. 

— Come stai? — chiese alla madre ch’era stata a guardarlo a dormire. 

— Meglio, meglio! — rispose essa con un sorriso di gratitudine, — ho preso un’altra cucchiaiata della medicina e mi sento alquanto sollevata. 

Poi gli chiese se non avesse desiderio di vedere il villaggio e salutare i suoi vecchi amici. Lo assicurò che per una o due ore poteva rimanere sola. 

Egli raccomandò a Giuseppina, che trovò già occupata di nuovo nell’orto, di badare alla madre ed ella glielo promise. Le parlò con dolcezza. Già spaventata al vederlo, la contadina s’era affrettata a raccontargli che stava raccogliendo erbaggi per il pranzo. Ella non era una poltrona, ma preferiva lavorare la terra che servire un’ammalata, e il torto era di chi l’aveva destinata a infermiera. 

La casa stranamente volgeva uno dei lati alla strada maestra ed era unita a questa da un viottolo costruito dal piede dei passanti. 

La campagna era ancora bianca dalla brina che il sole autunnale non aveva saputo sciogliere. Visto da quel punto, il villaggio sembrava molto piú insignificante di quanto fosse; pareva composto di due semplici file di case. Una curva della strada maestra nascondeva la parte meno regolare ma piú popolata. Dalla parte della valle v’era ancora una via della lunghezza di metà della principale a cui era parallela e poi, addossato a quella, un mucchio