Pagina:Svevo - Una vita, 1938.djvu/249

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— Come sta la signora Carolina? — chiese essa ritirando la mano che per un solo istante aveva lasciata inerte in quella di Alfonso. 

— Oh! male! male! — disse Alfonso commosso stranamente da quegli occhi neri e dai capelli lisciati alle tempie e a chiocciola sulle orecchie. Quello che le mancava nel vestire e nel parlare le dava quella freddezza che rendeva tanto desiderabile il sorriso amichevole di cui altre volte non era stata parca. 

— Rimane qui ora? 

— No! — rispose Alfonso, — soltanto finché mamma per la sua malattia non possa moversi; poi ci stabiliremo in città. 

— Io sono promessa sposa, — disse ella con semplicità. 

Visto che di questa comunicazione nessuno l’aveva richiesta, era evidente che la faceva per avvisarlo che poco le importava della sua partenza dal villaggio. 

Egli quasi si dimenticava di chiederle chi fosse lo sposo felice. 

— Gianni. 

Gianni era il figliuolo di Creglingi il bottegaio. Un bel giovinotto che sorvegliava l’amministrazione dei campi del padre, il quale non aveva mai voluto lasciare la sua bottega ove aveva fatto i danari. Rosina faceva una bella fortuna, certamente maggiore che se avesse sposato Alfonso. 

— Le mie congratulazioni! — disse Alfonso un po’ troppo tardi perché potessero venir credute sincere. 

— Tanti saluti alla signora Carolina, — fece improvvisamente Rosina e si ritirò senz’altro. 

Comprese subito la ragione di tale fuga. Dallo svolto della via si avanzava il notaio Mascotti accompagnato da Faldelli, il proprietario di una delle due osterie esistenti nel luogo. Era un vecchio vestito sordidamente e i cui vestiti pendevano dalle membra scarne. Doveva aver freddo perché teneva le mani ritirate nelle maniche della giacca. 

Lo salutarono ed egli si avvicinò loro. Faldelli alzò un braccio stendendo la mano fuori della manica e strinse con una stretta forte ma breve quella di Alfonso; poi riparò