Pagina:Svevo - Una vita, 1938.djvu/271

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come non erano stati disaggradevoli i sogni ch’essa gli aveva dati. 

— Sta meglio eh? — chiese Mascotti, e si chinò su lui forse desiderando che Frontini non udisse. Alfonso non dimenticò mai né quanto aveva sognato né quanto ora udiva. — Io la terrei ben volontieri qui, ma non ho nessuno che possa avere per lei le cure di cui abbisogna. Giuseppina sí, quella saprebbe fare da infermiera perché ne ha la pratica. 

— Sí, sí, a casa mia, — gridò Alfonso cui la febbre non toglieva di vedere la paura che aveva il pover’uomo di dover tenersi in casa un ammalato. 

Udí ancora che Mascotti s’era rivolto a Frontini per fargli constatare ch’era Alfonso stesso che desiderava di ritornare a casa sua. 

Ricadde nel sogno ma non interamente. Lottava con la febbre e ad ogni tratto ne usciva trionfante. Sentiva la voce della madre che gli chiedeva come stesse e poi subito gli riusciva di vedere il biondeggiare dei mustacchi di Frontini. Era molto assiduo Frontini. Ogni qualvolta Alfonso apriva gli occhi lo vedeva accanto al letto che gli tastava il polso o ponevagli alla testa delle pezze ghiacciate. Doveva essere una buona persona e nella febbre Alfonso si commoveva per quel povero uomo che egli aveva odiato. 

Poi la febbre aumentò di nuovo e vi si aggiunse un forte mal di capo. Si sentí affanno e ne soffrí. 

«Oh! povera madre mia!» pensò rammentandosi di quell’altro affanno a cui egli aveva assistito e che doveva essere stato tanto piú doloroso del suo. 

Doveva aver perduto la nozione del tempo perché riaprendo gli occhi trovò notte oscura. Un lumicino brillava accanto al suo letto e Giuseppina semiaddormentata era sdraiata su un sofà posto sotto alla finestra, parallelo al suo letto. L’avevano chiamata dunque anziché mandare lui fuori di casa. Anche Mascotti era una buona persona. 

Aveva una forte sete e mise un piede fuori del letto per andare a bere da una bottiglia d’acqua ch’egli tanto presto aveva scoperta perché vi si rifletteva il piccolo chiarore del lumicino.