Pagina:Svevo - Una vita, 1938.djvu/287

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Egli aveva le lagrime agli occhi, ma solo perché i suoi occhi delicati si riempivano di lagrime al veder piangere. Dovette raccontarle tutti i particolari della morte della madre e allora realmente si commosse. 

— E della casa che cosa ne ha fatto? 

— Venduta, — e le disse quanto ne avesse ricavato. 

Il colloquio divenne patetico. La signora Lanucci lo abbracciò e gli stampò due caldi baci sulle guancie: 

— Adesso sarò io sua madre e di cuore. 

Certo in quell’intervallo di tempo ella doveva aver sofferto molto e da bel principio egli s’era accorto che una tristezza nuova alterava quella fisonomia. Pensò che soffrisse per la malattia del marito. Volendo consolare Alfonso dopo essere stata dessa ad agitarlo, ella sorrise e rise ma erano smorfie. Invece prima, anche nelle ore piú tristi della sua triste vita, il sorriso sulle labbra vizze non era mancato mai. 

Poi comprese. In casa, oltre alla malattia del Lanucci, v’erano altre novità. Da due settimane Gralli non veniva piú da Lucia. S’era congedato formalmente con una letterina che la Lanucci trasse di tasca tutta gualcita. Comunicava con essa che, essendo stato sospeso il lavoro nella tipografia dove egli aveva occupato un ottimo posto, non poteva neppur pensare ad accasarsi. 

Mentre egli leggeva, la Lanucci lo guardava con attenzione studiando il suo volto per vedere quale impressione gli facesse quella lettura. Era molto pallida e si rosicchiava le unghie. 

— È poi grande questa sventura? — chiese Alfonso costringendosi a ridere per consolarla piú facilmente. 

Disse male di Gralli, un tipo che mai gli era piaciuto, persona che certamente doveva essere violenta e poco sincera con quella sua figurina tutta nervi e niente carne e niente statura. 

— Oh a me non duole mica molto del suo abbandono, — e volle ridere, ma di nuovo il volto prese quell’espressione di allegria voluta, una contorsione come di persona poco abile che voglia fare ginnastica. 

Gli faceva pena. Per liberarsene chiese di andare a salu-