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te e per le quali si sapeva che Sanneo era stato biasimato; poi, con disprezzo, — un’altra mancanza di rispetto al suo capo non poteva piú nuocergli, — di quei notabene che non avevano altro scopo che d’insudiciare le lettere e di far correre l’impiegato.
— Il contegno del signor Sanneo con gl’impiegati non è quale dovrebb’essere ed io assolutamente non mi vi adatto!
Aveva riconquistato tutta la sua sicurezza.
Venne però chiamato di nuovo in stanza del signor Maller e ne uscí con cera affatto mutata, tanto che Alfonso nulla gli chiese avendo già compreso. Miceni ebbe un risolino che voleva essere sarcastico; con movimenti piú decisi pose sul suo tavolo il cappello e la giacchetta da lavoro e disse:
— Questa è del tutto inaspettata.
White entrato allora guardò Miceni con fredda curiosità.
— Lei viene trasferito alla contabilità?
La vista di chi era stato piú fortunato di lui, fece perdere a Miceni quel poco di padronanza di sé che ancora gli era rimasta. Non c’era nulla da ridere, disse, quantunque White non avesse riso; se egli avesse goduto di tante protezioni come White, l’affare avrebbe preso tutt’altra piega. White non si difese e freddo, freddo, sorridente, rispose che sapeva di essere protetto e che non gli dispiaceva che anche gli altri lo sapessero; fece inviperire vieppiú Miceni. Pareva volesse vendicarsi dell’attacco che l’aveva lasciato tanto indifferente.
— Chi troppo abbraccia nulla stringe.
Allora Miceni nella grande ira si commosse.
— Che cosa ho voluto che fosse di troppo? Giustizia! è troppo? Venir trattato pulitamente! è troppo?
Non piangeva, ma la sua voce era piena di lagrime e White divenne piú mite; non seppe risparmiargli l’ultima freccia per mettere a posto i fatti:
— Lei diceva però di voler essere indipendente.
Miceni risolutamente negò; egli voleva, esplicò, essere indipendente solamente nel caso che Sanneo non avesse saputo contenersi meglio. Adesso, appena, s’accorgeva del-