Pagina:Svevo - Una vita, 1938.djvu/66

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sala di lettura tutta occupata da tavoli disposti parallelamente, occupava un posto qualunque e per qualche tempo con la testa fra le mani era tanto assorto nella lettura da non vedere neppure chi accanto a lui sedesse. Dopo un’ora al piú, la lettura affaticante gli ripugnava, per qualche tempo ancora vi si costringeva e cessava quando la mente piú non afferrava la parola che l’occhio vedeva; usciva non appena deposto il libro e dopo quell’ora passata con gl’idealisti tedeschi, gli sembrava sulla via che le cose lo salutassero. 


VII


Alfonso era venuto in città apportandovi un grande disprezzo per i suoi abitatori; per lui essere cittadino equivaleva ad essere fisicamente debole e moralmente rilasciato, e disprezzava quelle ch’egli riteneva fossero le loro abitudini sessuali, l’amore alla donna in genere e la facilità dell’amore. Credeva di non poter somigliare loro e si sentiva ed era per allora molto differente. Non aveva conosciuto la sensualità che nell’esaltazione del sentimento. La donna era per lui la dolce compagna dell’uomo nata piuttosto per essere adorata che abbracciata, e nella solitudine del suo villaggio, ove il suo organismo era giunto a maturità, ebbe l’intenzione di serbarsi puro per porre ai piedi di una dea tutto se stesso. In città quest’ideale perdette ben presto qualunque influenza sulla sua vita per non vivere che nel suo proposito, un proposito vago che non aveva  forza che quando non c’era bisogno di lotta.

Ma come teoria ci teneva anche dopo di essersi accorto che appariva ridicola agli occhi di coloro cui la esplicava. Non sapeva come supplirvi; abbandonandola avrebbe creato un vuoto nella sua vita. Non la enunciò piú, cosí che Miceni a torto si vantava di aver operato una conversione. 

A ventidue anni i suoi sensi avevano la delicatezza e la debolezza dell’adolescenza. Aveva dei desideri ch’egli