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134 ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO

ti ricordi delle teste messe a prezzo a Messina, e infitte negli alberi lungo le vie di Calabria, e i prigionieri costretti a portare in mano la testa sanguinosa de’ loro parenti, e quando ti tornano a mente le commissioni militari, i processi economici, le torture, le forche e gli esilii del Duca di Modena, e di Papa Gregorio.

I primi sei libri degli Annali, in cui è rappresentato il cominciare e l’ingrandirsi di quella feroce tirannide, sono tenuti il capolavoro di Tacito, e con ragione furono chiamati tragedia. Il tragico che è nell’imaginazione e nel cuore di Tacito trova modo a manifestarsi energicamente nei fatti tremendi che riescono tutti ad un medesimo fine. Vi è un tiranno de’ più inesplicabili che fossero mai: vi è una reggia piena di delitti, di sangue, e di ministri scelleratissimi: vi è la morte civile di un popolo grande, vi è la paura e la morte violenta di Seiano e di Tiberio. L’ingegno di Tacito che sempre vede addentro nei nascondigli del cuore, e scopre tutto il bene e il male dell’umana natura, non si mostrò mai tanto acuto quanto nel penetrare la chiusa anima di Tiberio e nel rivelarne gli arcani. È una lotta poderosa fra due combattitori fortissimi, tra il genio del bene, e il genio del male, tra la luce e le tenebre. Tiberio pone ogni studio in coprire sè stesso, in nascondere le sue intenzioni, in dare al male nome e apparenze di bene. Tacito fa ogni sforzo per discoprirlo quale è, per costringerlo a levarsi la maschera e a farsi vedere in tutta la bruttura della sua fisonomia. E Tacito vince la prova. Fino dalla prima gioventù lo mostra superbo e crudele, e inteso a simulazioni e soppiatte libidini. Portato all’impero per male arti e intrighi donneschi, fa sembiante di non volere il comando come cosa troppo grave per lui, e fa una commedia di repulse e di sdegni con-