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144 | ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO |
onorata. Rimane Trasea Peto che non crede alla divinità di Poppea imperial meretrice, che non fa sacrifizi alla divina voce di Nerone, che abbandona il vile senato, e che accusato di questi delitti si taglia le vene e offre il suo sangue a Giove liberatore. Tutti gli altri che avevano anima grande e sdegnavano il contaminarsi nel fango di corte pagarono il fio del nobile contegno colla prigionia, coll’esilio e colla morte. E allora si fece universale silenzio, non ascoltavasi più che il suono delle catene e della voce dei delatori.
S’imagina quali fossero le idee che gli uomini si erano fatte della giustizia quando per l’esempio dei principi le pene delle leggi erano diventate un assassinio. S’imagina in quale stato dovevano essere i pubblici costumi quando il palazzo imperiale era scuola di avvelenamenti e bordello, e lo governavano istrioni, meretrici, liberti, e una turba di servidorame insolente che in compagnia del padrone correva di notte le vie a insultare i cittadini, a disonorare le donne, e in mezzo alla città si ordinavan conviti in cui le matrone pubblicamente si ricoprivano di vitupero.
Noi sappiamo già quali fossero in questi tempi i patrizi di Roma. I più seguivano gli esempi del male per corruzione di cuore. Alcuni si dolevano che si spengessero i patrii costumi, che s’introducesse in città quanto era corrotto e corrompitore, che principe e senato ne tenessero scuola e fossero, non che conceditori di licenza, sforzatori di vizi. Ma poichè il far mostra di severo costume, e il desiderar fama d’imprese onorate erano cause di persecuzione e di morte, tutti menavano vanto di corruzione e di servilità; si facevano stupidi, e uscivano salvi sopravvivendo non solo agli altri ma anche a sè stessi.