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153 ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO

chè e gli adulatori e gli odiatori dei principi intenti ad appagare il loro particolare talento non si davano cura dei posteri. Egli tra gli scrittori teneva più nemici al vero i maligni che gli adulanti, i quali vengono naturalmente a schifo, mentre gli altri si fanno ascoltare a piene orecchie, perchè l’adulazione è brutta colpa di servitù, e la maldicenza si prende falsamente per libertà. Protestò di non aver conosciuto nè per beneficio nè per ingiuria molti dei principi di cui prese a scrivere, e con egual sincerità dichiarò di avere ricevuto benefici dagli altri: ma concludeva che professando fede incorrotta direbbe il vero di tutti senza amore e senz’odio. E alla prova dei fatti si vede come fu severo mantenitore delle promesse. Perocchè dei principi scelleratissimi che per niuna guisa conobbe dice il molto male che fecero, e niuna loro opera virtuosa passa in silenzio: e delle tristizie dei principi che lo beneficarono è giudice severissimo. Di Tiberio stesso sui primi tempi ricorda la vaghezza di spendere il denaro in cose onorate, ne loda i provvedimenti economici, e con ogni maniera di ragioni si studia di discolparlo dalla taccia che gli dava il popolo di avere spento di veleno il figliuolo. Di Claudio e di Nerone riferisce tutti gli ordini buoni, e così di ogni altro ricorda le cose onorevoli al pari delle triste. Questa sua imparzialità risplende ugualmente nei giudizi sulle opere dei cittadini privati. Vitupera le infamie dei despoti, e non risparmia le viltà degli schiavi che baciano la mano che li percuote: ammira il coraggio, e non ne tace l’inutile ostentazione, degli stoici medesimi, di cui seguiva le dottrine, non tace le diserzioni: e se adorna di sublimi lodi Peto Trasea e Labeone, ritrae sdegnosamente quelli che andavano alle cene di Ne-